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Note e appunti sul concetto di cultura cinematografica a Gorizia Parte I: origini e tappe di una fortuna critica

07.01.2025
Steven Stergar
Steven Stergar

Il cinematografo dà per la prima volta spettacolo di sé a Gorizia nel tardo pomeriggio dell’8 dicembre 1897, due anni dopo le prime proiezioni pubbliche parigine dei fratelli Lumière, nella corte interna dell’allora hotel Centrale, affacciato sull’attuale Corso Verdi. L’arrivo del medium è solo l’ultima novità tra gli elementi di ammodernamento che la città mitteleuropea registra in quel momento storico. Gorizia, infatti, viene riorganizzata dall’Impero Asburgico sul piano urbano e tecnologico a partire dal 1879, in concomitanza con l’avvento e la diffusione della cosiddetta luce commercializzata. Inutile soffermarsi troppo sull’importanza dell’evento, in termini tanto di gestione quanto di forma dello spazio conviviale, e men che meno sull’intrinseco rapporto tra luce e cinematografo. La presenza del medium stimola, se vogliamo, un’ulteriore riorganizzazione dello spazio cittadino. Così come all’epoca avviene in molte altre città, il cinema conquista lentamente un proprio statuto nella sfera sociale goriziana, divenendo via via un’imperdibile ritualità comunitaria. Primi fra tutti a incentivare questo processo sono gli ambulanti e gli imbonitori in sosta nelle principali piazze della città in occasione, soprattutto, delle rinomate fiere del patrono e di Sant’Andrea. Sono proprio queste figure a garantire le prime affezioni cittadine nei confronti di certi spettacoli proposti, perlopiù vedute del mondo, comiche e fantasmagorie, avvicinando e abituando sempre più la popolazione all’immagine in movimento. Contestualmente, però, il cinematografo si insinua in altri luoghi stabili della città, come gli affermati studi fotografici, celebre quello del fotografo Anton Jerkič al secondo piano di una palazzina in via dei Signori 7, le case di tolleranza, con spettacoli pensati per un solo pubblico adulto e maschile, e, nondimeno, persino in qualche chiesa, come dimostrano le proiezioni organizzate per i più piccoli dai missionari della chiesa evangelica di via Alvarez a inizio Novecento. Il cinematografo sembra insomma espandersi senza badare troppo al dove ciò avvenga. A confermarne in via ulteriore il successo è l’imminente processo di istituzionalizzazione della visione comunitaria in veri e propri spazi concepiti ad hoc per il medium. Nascono così le prime sale cinematografiche cittadine. Josip Medved, audace imprenditore locale, è tra i primi a prendere in gestione, nel 1909, i locali di uno stabile da lui convertito nel cinema Centrale, sala che manterrà nome e sede all’incirca per settant’anni; come lui, sono altri a quel tempo a investire in spogli locali poi rinnovati nelle strutture e decorati con rossi tendaggi e ornamenti liberty. Tra i cinema inaugurati in quel periodo, segnaliamo in particolare l’Edison, lo Splendor e il Pantheon di Lodovico Tornsig, andato purtroppo in fumo per un incendio dovuto, presumibilmente, all’utilizzo a quell’epoca delle pellicole in nitrato. L’ovvia pericolosità delle pellicole infiammabili, sommata all’altrettanto evidente precarietà infrastrutturale dei locali, persuade presto l’amministrazione imperiale a intervenire in prima persona con il decreto-legge del 18 settembre 1912, chiamato a regolamentare gli spettacoli cinematografici su tutto il territorio austro-ungarico. Il decreto istituisce, tra le cose, la cosiddetta “Kino-Polizei”, ente preposta alla sorveglianza delle sale e del loro esercizio, delle loro infrastrutture, dei loro spettacoli e, più in generale, del pubblico. Un secondo decreto imperiale, emanato il 24 maggio 1915, vieterà in seguito la distribuzione e la proiezione di titoli prodotti in Italia, in quei giorni nemica dell’Austria, sino così a intervenire e modificare per la prima volta i gusti, le abitudini e i valori della popolazione soprattutto di lingua italiana. Il cinema in quegli anni è infatti già un elemento saldo nella quotidianità e nei consumi cittadini, il primo tra gli intrattenimenti spettacolari, nonché persino un elemento utilizzato nella pedagogia di istituti scolastici e “correttivi”. Ciò che ancora non possiede, tuttavia, è l’aurea di elemento e fattore culturale che possa definirsi tale. Non si può di fatto ancora parlare di vera e propria “cultura cinematografica” nella Gorizia dell’epoca, eccezione fatta forse per il solo Josip Medved che, in maniera del tutto lungimirante, intravede proprio nel cinema la migliore opportunità per avvicinare le tre popolazioni cittadine di lingue diverse, stampando per questa ragione opuscoli e programmi nelle tre lingue italiano, sloveno e tedesco. Neppure il solo interesse delle avanguardie giuliane degli anni Venti e Trenta riesce a fare del cinema in città un elemento squisitamente culturale. Le poche tracce di un interesse per il cinema in termini non esclusivamente commerciali sembrerebbero piuttosto provenire dalle iniziative culturali promosse dal Partito Nazionale Fascista. Se da un lato, infatti, il regime favorisce a quel tempo le produzioni dell’Opera Nazionale Dopolavoro, dall’altro vi sono soprattutto le attività e rassegne organizzate dai cosiddetti “Cineguf”, e dunque dai giovani studenti cinefili aderenti ai Gruppi Universitari Fascisti. Osservate nel loro insieme, le iniziative del partito e, non diversamente, l’interesse dei dissidenti giuliani avanguardisti, rappresentano idealmente i primi punti di riferimento da dover oggi interrogare al fine di comprendere come i saperi sul cinema si siano prodotti a Gorizia, come certi canoni si siano imposti, e come diverse istituzioni si siano fondate. È in questo stesso contesto, non così del tutto estraneo al cinema in quanto fatto culturale, che nascono due tra i principali protagonisti della cultura cinematografica goriziana post-Sessantottina. Darko Bratina nasce a Gorizia il 30 marzo 1942, pochi mesi più tardi, il 7 ottobre, nasce Sandro Scandolara. I due vivono quindi il nesso tra cultura e cinema inizialmente da spettatori delle molte sale goriziane degli anni Quaranta e Cinquanta.

Nel secondo dopoguerra, e per tutti gli anni Cinquanta, l’affezione dei goriziani per il cinema si consolida così come avviene contestualmente in tutta Italia. Il cinema è, com’è noto, il principale medium di massa dell’epoca. Il suo successo è dovuto, in particolare, al crescente numero di sale e al diffondersi di nuovi spazi alternativi predisposti anch’essi alla visione cinematografica. Tra i cinema del periodo censiti a Gorizia si contano il già citato Centrale, il Verdi, il Corso, il Moderno, il Vittoria, a cui vanno ad aggiungersi, altresì, le arene estive come quella celebre di via Locchi, le parrocchiali e i cinema dei paesi limitrofi, e nuovi enti come il Circolo del Cinema, i Cineclub, l’AGI (Associazione Giovanile Italiana) di largo Culiat, il Circolo per la Libertà della Cultura di via Dante, e, non da ultimi, il C.U.C. (Centri Universitari Cinematografici) e il cineforum dell’istituto “Stella Matutina” dei padri gesuiti. Ad accomunarne le eterogenee esperienze è una condivisa necessità di produrre e trasmettere il sapere cinematografico nel pubblico che farebbe di queste sedi gli allora pilatri della cultura cinematografica locale. Non si tratta più dunque di garantire la sola visione di un certo film mediante la rodata formula economica del rituale del biglietto venduto, bensì piuttosto di rinnovare l’esperienza cinematografica per mezzo di nuovi elementi, come la presentazione iniziale del film, la diffusione di opuscoli e pamphlet, sino al più cruciale e seguito momento del dibattito finale. Anche a Gorizia ci troviamo infatti in quella fase della storia culturale del cinema in Italia che la storiografia ha più volte definito “del dibattito”. I film non vengono più quindi soltanto visti. Sono proprio i cineforum e i circoli culturali a far invece conoscere le sfumature e i significati dietro a ognuno di questi, chiamando il pubblico a non soffermarsi alla sola visione, bensì a partecipare attivamente e criticamente alle numerose proiezioni proposte. Il cinema diviene in questo modo e a tutti gli effetti un fatto culturale, uno strumento per produrre consapevolmente del sapere. Lo sanno bene in quegli anni i padri gesuiti della già menzionata “Stella Matutina” i quali, rinnovando i propri palinsesti cinematografici e culturali sulla spinta lungimirante del neodirettore, padre Sergio Katunarich, giunto a Gorizia al crepuscolo degli anni Cinquanta, si fanno pionieri di iniziative spesso organizzate in collaborazione con altri enti laici cittadini, come dimostrano le rassegne e retrospettive sui generi e il cinema industriale degli anni Sessanta organizzate con i giovani del C.U.C. goriziano. Nella sala del cineforum, e prima ancora nella biblioteca del centro, Scandolara formula i suoi primi pensieri d’amore per il medium, emergendo via via come animatore di dibattiti e autore di approfondimenti tematici talvolta co-redatti con gli amici cinefili Giorgio Cavallo e Darko Bratina, entrambi frequentatori più che occasionali del centro di via Nizza. Con Bratina, in modo particolare, Scandolara condivide altresì le letture sociologiche applicate al film e alla teoria del cinema tout court, frutto della formazione universitaria ricevuta da entrambi alla giovane facoltà di Sociologia dell’Università di Trento negli anni Sessanta. L’esperienza universitaria consente infatti ai due di porre al servizio della cultura cinematografica goriziana i propri saperi, facendo del cinema un linguaggio della democrazia e del confronto. Su queste proprietà semantiche del medium, e sulle sue capacità di unire i popoli, Scandolara e Bratina impostano l’impalcatura del loro impegno culturale consolidando, da un lato, i rapporti identitari tra la popolazione di lingua italiana e quella di lingua slovena, e, dall’altro, le iniziative volte ad arricchire il paesaggio cinematografico nella Gorizia degli anni Settanta e Ottanta. I riferimenti per entrambi sono, soprattutto, le storie del cinema redatte all’epoca dai più importanti autori italiani e internazionali, Pietro Bianchi su tutti per Bratina, e i maggiori riferimenti teorico-metodologici avanzati da intellettuali come Rudolf Arnheim, in chiave estetica, ed Edgar Morin, in chiave, per l’appunto, sociologica. Se per Scandolara ciò significava dare il proprio contributo come critico e collaboratore di numerose riviste, su tutte il mensile “Cineforum”, e come animatore dei dibattiti in “Stella Matutina” e in altri circoli, per Bratina, non diversamente, il contributo passava per il direttivo della Federazione Italiana Cineforum, di cui è membro dal 1965 al 1972, per le pagine di altrettante riviste di settore, e della stessa rivista “Cineforum” e, solo da ultimo, per gli spazi del circolo cinematografico Kinoatelje, di cui è fondatore nel 1977. Una comune fortuna critica che nelle rispettive tangenti percorre il contesto culturale cinematografico goriziano, influenzandolo progressivamente.

È però ancora il famigerato dibattito cineforiale a offrire a entrambi le maggiori opportunità di incontro e relazione tra le diverse comunità linguistiche della città. Bratina, in modo particolare, lo sapeva bene al punto tale da fondare, negli anni universitari, un cineforum trentino, prendendo poi le redini, in un secondo momento, di un suo equivalente torinese durante un temporaneo passaggio nel capoluogo piemontese. In un contributo pubblicato ancora sulla rivista “Cineforum”, nel dicembre 1966 (n. 60), spende nello specifico alcune osservazioni sul metodo e sulle presunte potenzialità dietro al dispositivo in questione. Per Bratina, infatti, «il cineforum è una formula, sfuggente, ribelle ad ogni definizione» e che si concretizza «in un tipo di attività di natura sociale, oltre che culturale». E ancora, «è l’occasione di un racconto umano di scambio di idee, di opinioni, un momento di verifica dei vari sistemi di valori e del loro orientamento, una tribuna libera». In queste considerazioni riaffiorano tutta la formazione sociologica assorbita dall’esperienza trentina, il suo appassionato studio sui testi di Morin e, soprattutto, l’interesse per il dialogo e per la sua natura d’incontro. Valutazioni sociali e culturali, queste, condivise ugualmente negli anni dall’amico Scandolara e con lui capitalizzate, alle soglie degli anni Ottanta, nell’ambizioso progetto a quattro mani di una prima rassegna ragionata sulla storia del cinema sloveno organizzata negli spazi del neonato Kulturni Dom di Gorizia. L’evento è nondimeno nelle intenzioni dei due amici un’occasione per sviluppare in maniera più concreta un ponte tra le due culture. Se per Scandolara, cinefilo di cultura italiana, il cinema sloveno è anzitutto una passione, e quindi un’occasione di studio e di incontro tra l’oriente e l’occidente cinematografico, per Bratina, cinefilo di cultura slovena, quel cinema non può che rappresentare un elemento identitario, e quindi un’imperdibile occasione di studio e di approfondimento delle proprie origini culturali. Con queste premesse, la manifestazione del 1981 circoscrive una serie di temi e di riflessione a cui la coppia Bratina-Scandolara risponde con assoluto rigore filologico e scientifico. L’elemento linguistico, in particolare, assume un ruolo di primo grado e di assoluta importanza per il loro lavoro. La coscienza culturale slovena, ricorda Scandolara nel catalogo pubblicato in occasione dell’evento, «era allora esplicitamente caratterizzata in termini di risveglio nazionale e si fondava [proprio] sulla lingua», qui intesa parimenti come elemento identitario e cinematografico. La lingua, assieme alla letteratura, consentirebbero così al cinema sloveno di emergere sino ad autodeterminarsi nel corso degli anni distinguendosi da una più generica e inesatta definizione di “cinema jugoslavo”. Bratina e Scandolara parleranno nuovamente di questi aspetti in una trasmissione televisiva dedicata al cinema sloveno e andata in onda, in quattro puntate da 30’ minuti ciascuna, sull’emittente regionale di Rai 3 a distanza di due anni dalla rassegna del 1981. Tra gli argomenti discussi in quella sede, vi è ancora una comune attenzione nei confronti, soprattutto, 1) dell’identità nazionale e del dialogo con gli altri, a cui si aggiungono lucide letture sulle 2) svolte e sulle contraddizioni nello sviluppo socialista nel paese; 3) sul passato e sulle sue verifiche nel presente; 4) e sulle ambiguità dell’impegno della cinematografia slovena nella storia. Il medium televisivo consentirebbe perciò loro di raggiungere un maggior numero di pubblico, offrendo alle telespettatrici e ai telespettatori della regione l’opportunità di conoscere un cinema nazionale ancora estraneo ai più per ragioni, forse, di disinteresse intellettuale e culturale da parte anche delle istituzioni, come allora denunciato da Lorenzo Codelli, della Cappella Underground, in un momento della seconda puntata. Di quella stessa trasmissione, a cui parteciparono, tra gli altri, ulteriori protagonisti del cinema sloveno come Bojan Stih, direttore della “Viba Film”, e Silvan Furlan, redattore capo della rivista specializzata “Ekran”, edita a Ljubljana, vedremo quest’oggi a distanza di anni un breve estratto della prima puntata. Un’occasione, per noi che talvolta guardiamo con nostalgia storica ai risultati della cultura cinematografica goriziana di quegli anni, per ammirare assieme il dialogo e l’impegno, anche civile, di concittadini cinefili come Bratina e Scandolara, e per respirare comuni passioni cinematografiche che rivivono, oggi, anche in convegni e appuntamenti culturali come questi.

Autore: Steven Stergar

 

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